Lettera per Adelio Fusé "l'obliqua scacchiera" (Book Editore,2012) E. 13,00

07.02.2013 15:33

Caro Adelio, ho letto il tuo "L'obliqua scacchiera". Già mi ha colpito il testo di quarta..."accanto al mio eremo è un masso/sul pinnacolo all'inverso rotolato"... un perfetto equilibrio acustico e fonetico dove anche l'assonanza che unisce l'ultimo vocabolo del primo verso che si realizza nel rapporto con il penultimo del secondo, concede proprio quella "diagonalità" obliqua (quasi sintattica) operosa nell'evocare la perizia, appunto, inaspettata e colma di una allitterazione consonantica non regolare ma quasi anticipatrice di quella già compatta della seconda strofa. La rivelazione filosofica, la teoretica agnizione degli oggetti anomali, conduce all'assolvibile condizione linguistica corposa e sinergica, dove la figura è intarsio materico quasi da arte visiva; non nella versione, ovviamente, che fu della poesia visuale, totalmente altra da questa...qui non sono le linee figurative che diventano segni verbali, ma la lingua che, all'opposto, si fa essa stessa complesso scultoreo. Ora, davvero, la domanda si pone...chi l'antagonista? I testi della prima parte mi sono sembrati esprimere una nuova, particolare intenzione comunicativa verso l'accennare ad un disegno di un mistero da porsi, nel tono evocante un noir anomalo. Richiami possibili di figure a compimento del recupero temporale auspicato e inseguito. Ma il fermo immagine, risultato del provato artificio, non può risparmiarci comunque il senso della perdita... se si naviga s'incontra la morte; si misurano i tempi della resa. Il discendere (qui invece fermato) mi ha fatto ricordare Manganelli e certi suoi passaggi in tal senso. Il possibile gioco è strategia credibile solo perché obliqua... sfuggente alla condizione prevista; dovuta al sentire dei pezzi che compongono la nostra difesa, non definita dall'alternarsi di leggeri e pesanti, arrocchi lunghi o corti, chiusure su lato di donna o di re. Ed ecco che l'andare "folle e fiero" diventa il susseguirsi degli ossimori, dei risultati inespressi, della "priapesca erezione", dove un flusso può forse aprirsi; dove la paronomasia insegue soluzioni condotte dopo appostamenti vissuti all'angolo dei versi e oltre gli spazi di sospesione. Particolare emozione poi comporta il cogliere aspetti quasi presi dalla nuova fisica, quando i versi dicono "la tara dell'effetto/ che si fa causa...", in qualcosa di non fugace, e il boomerang forse ritorna? O forse non è utile il suo tornare? Ovunque passi il ritorto flusso, così si accenna all'ambiziosa soglia che comporta inizio e fuga, trame inevase ed esperiti fiati, tracciati dove i versi solidificano il conglomerato semantico. Una poesia filosofica che affronta il tema del tempo, in chiave ontologica. Significativo il verso "il tramonto è la norma dell'alba" che mi ha riportato quasi al concetto hegeliano del saper soggiornare presso il negativo...e qui intorno si muove e accelera una verbosità di movimenti, di tempi alla fuga votati, di moti narrabili e adulti... così il riferimento all'amato Rimbaud e, forse, alla sua "Larme" che mi ha portato, in passato, ad una specifica scrittura... infine, nell'ultima parte, il testo si fa anche dialogico, interlocutorio, come non alieno dal porsi la responsabilità di un esito concettuale. Sentenze d'asindeto, sintagmi materici, covidosi allarmi contendono al tutto l'espressione di una terzina superba "in erosi miraggi lacerto tarlato/di concrezioni tritume/lubrichi residui infiocino". Trafiggere il passo del cronologico fuggire è appunto l'esponibile progetto tendente alla nuova e altra, diversa stagione; dove un'analisi linguistica ci porta a vedere come essa non sia solo quinta ma all'origine del termine "stationem" quindi dimora e condizione... "soffrii lunga stagion ciò che più spiace" per dirla con il Tasso. Un esito davvero alto e inusuale, a conferma di cosa possa oggi esprimere una certa ricerca poetica quando diviene magistero stilistico.

                                                                                                                                                                                                                        A. Rompianesi